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Alzano e Almenno (Bg) (2012)

Gli Amici dell'Arte propongono una visita guidata nei dintorni di Bergamo, alla scoperta dei tesori dell'architettura romanica e delle sculture dei Fantoni, grande famiglia di intagliatori bergamaschi.

Le iscrizioni si raccolgono entro domenica 4 marzo 2012 presso Francesca Fontana (tel. 030 360076, oppure cliccando qui e compilando il form.

alzano_almenno_2012

 

 

San Tomaso in Limine,
ad Almenno San Bartolomeo (Bg)

Addentratisi nella campagna di Almenno sin quasi a giungere sulle rive del Brembo, si giunge a San Tomè - così è comunemente denominata la chiesa, il cui nome esatto è San Tomaso in Limine - e chi si attenda di trovarsi di fronte a una fra le tante chiesette di campagna, magari un po' rozze, semplici, senza pretese, rimane stupito dal trovare invece un edificio raffinatissimo, con una planimetria insolita, circolare, e una fattura accurata, elegante, che realizza un'armonia stupefacente con l'ambiente che lo circonda, fondendosi in una perfetta unità.
Si tratta di una costruzione a pianta circolare e a struttura piramidale formata da tre volumi cilindrici concentrici sovrapposti e degradanti, opera di artigiani sapienti e informati dei movimenti artistici che attraversavano l'Europa dell'epoca, capaci tuttavia di mantenere una propria autonomia espressiva tale da rendere la rotonda un'opera unica nel panorama romanico italiano.

(Consulta foto e un commento sul San Tomè)

 

Andrea Fantoni

Nella grande famiglia dei Fantoni - scultori e intagliatori - emerge la personalità ricca e complessa del celebre Andrea. La scuola fantoniana sorta su una tradizione artigianale sostanzialmente limitata alla provincia orobica, ebbe con questo eccellente artista la possibilità di raggiungere la notorietà nazionale. Andrea Fantoni, secondo di dodici figli, nacque a Rovetta, in Val Seriana, da Grazioso e Maria Bramina, il 25 agosto 1659. In quel tempo la famiglia «de Fantonibus», come ricordano alcuni documenti, esercitava l’arte dell’intaglio e della scultura da oltre due secoli. Indubbiamente l’ambiente familiare ebbe su Andrea un’influenza decisiva non solo dal punto di vista artistico, ma pure dal punto di vista religioso.

Il padre intuì ben presto il talento naturale del figlio e ritenne giusto mandarlo a prendere lezioni d’arte da un insigne maestro del tempo. Andrea fu pertanto il primo della scuola fantoniana ad uscire dalla nativa Rovetta, per andare - giovanissimo - a studiare dal maestro tedesco Pietro Rames o Rumes, a Brescia. Dal Rames, il Fantoni ereditò la tecnica e l’amore per la precisione ai particolari anatomici che risultarono poi caratteristiche peculiari della sua opera. Certamente tali insegnamenti lo aiutarono ad allontanarsi dall’eccessivo manierismo ormai in voga e nello stesso tempo gli permisero di rinnovare il repertorio artistico della famiglia, troppo ancorato a studi tradizionali. Probabilmente durante questi anni conobbe anche il bellunese Brustolon ma è dubbio che sia stato pure suo allievo. Nel 1680 tornerà nella natia Rovetta come caposcuola.

Il capostipite della famiglia fu tal Bertolino, come segnala l’albero genealogico conservato nel museo di Rovetta. Due stemmi riportano le insegne e le distinzioni simboliche della famiglia. Uno riproduce l’elefante e risponde alla più antica denominazione della fathiglia, detta «De Elefantonibus», poi «De Fantonis» e da ultimo Fantoni. Fra gli anni 1685 e 1690 visitò con il padre alcune città italiane e al rientro si mise a lavorare non più solo il legno, ma pure il marmo e l’avorio. La sua vera attività scultorea iniziò praticamente nel 1690 utilizzando anche modelli fornitigli dal Vergano o dal Davide Marinoni suo amico veneziano. I primi risultati furono sicuramente eccellenti visto che il conte Barzizza di Alzano propose al Fantoni di trasferire il suo laboratorio da Rovetta a Bergamo. Le sue opere di scultura erano assai numerose e di elevata qualità , così che nel 1702 la Corte Farnese di Parma gli consegnò il diploma «Familiari domestici» per meriti artistici e nel 1710 venne ammesso «ad honorem» presso una Accademia milanese. Fra le maggiori opere ricordiamo anzitutto le tre sacristie di Alzano Lombardo, che come sottolinea il Fornoni nella sua monografia della Basilica «è un piccolo e grazioso santuario d’arte».

Il contratto per questa sacristia venne stipulato nel 1692 quando il Fantoni a dimostrazione della sua arte, aveva già realizzato la «Deposizione» e la «Sommersione dei soldati del Faraone». In tale opera si compendia tutta la personalità artistica dell’autore e dei fratelli, suoi collaboratori. I grandi armadi con le superbe cimase, ricche di figure d’ogni grandezza e forma, i martiri e i loro carnefici scolpiti in maniera sorprendente, la testa dei cherubini, le lesene, le cariatidi contorte e affaticate rivelano non solo un’attenzione certosina nella esecuzione di livello superbo ed eccezionale, ma anche una personalità artistica sicuramente geniale. è stato detto che «la sua arte fu una specie di preghiera trasformatasi in apparenza concreta. In essa vi è tutto l’uomo con la sua scultura, la sua fede, la sua onestà».

La stessa forza espressiva delle sue opere lignee si ritrova nel pulpito marmoreo della parrocchiale di Alzano che secondo lo studioso Pasino Locatelli è «degna di stare in S.Pietro a Roma». Remigio Negroni, studioso e già prevosto di Alzano, ha scritto ancora a tale proposito: «Il pulpito è posto fra le colonne abbinate, dopo l’arco centrale della navata di destra e si eleva sopra un piccolo zoccolo a pianta ottagonale con lati di angolo più corti degli altri, leggermente arcuati all’interno Questa forma prevale sino alla sommità del capocielo, con varianti movimentate, specialmente nel tinello, che gli danno una forma quasi sferica. Sopra lo zoccolo si appoggia il fusto a forma di pera capovolta, sul quale siedono le quattro cariatidi, che sostengono la base del tinello a figura di conchiglia, con movenze regolari e arrotondate in forte sporgenza sotto la sponda che porta incastonate su tre facce maggiori dell’ottagono le medaglie, mentre sulle quattro facce d’angolo sono posti in corrispondenti nicchie aperte i Dottori maggiori latini».

Ed ancora il trionfo dell’arte: «più di quaranta qualità di marmi finissimi, tra i quali malachiti lapislazzuli di ogni tinta, danno all’opera una meravigliosa varietà con perfetta intonazione d’assieme, così da sembrare, negli intarsi specialmente, un’ammirabile miniatura. Ma quello che l’attenzione richiama e suscita meraviglia e lo stupore dei visitatori sono particolarmente le quattro cariatidi, nei loro atteggiamenti diversi, nelle strane loro posizioni, nelle loro contratte muscolature, nelle turgide loro venature, nelle vivacissime espressioni delle loro fisionomie, che presentano anche sotto l’aspetto anatomico riproduzioni così vere delle forme umane da non saperle immaginare più perfette in carne viva». Alle opere citate e alle sculture sparse in molte altre chiese bergamasche si aggiungono ancora la Cattedra Vescovile del Duomo. Eseguita nel 1706 è composta da due parti distinte: l’inginocchiatoio e il sedile con lo schienale. L’inginocchiatoio ricorda quello di S.Martino de’ Calci e quelli famosi della seconda sacristia di Alzano specialmente per le cariatidi che sostengono il davanzale. Il sedile ha due ovali di finissima fattura rappresentanti uno l’offerta dei pani nel tempio di Gerusalemme, l’altro un’unzione regale o sacerdotale. Nel complesso si tratta di un’opera bene equilibrata e ben riuscita. Una nota a parte meritano i crocifissi e i sepolcri lignei. Nei primi l’autore traspose un senso della morte che è legata ad un sentimento di alta rassegnazione, che rivela una fede sicura e tranquilla. I teschi e gli scheletri non sono quindi elementi di terrore e di paura nei confronti della morte. Non così per i sepolcri lignei dove il Fantoni si fa portavoce del senso popolare della morte vissuto come tragico, drammatico, irreparabile. Le sue figure sono quindi espressione di paura, di terrore verso l’ignoto non di rassegnazione. Durante la sua esistenza ebbe numerose amicizie dato il suo carattere vivace e gioviale. Morì 75enne a Rovetta, il 25 luglio 1734.

(tratto da: L'Eco di Bergamo.it)

 

 

 

 
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