Bizantini, Croati, Carolingi. In Santa Giulia (2001)
Gli Amici dell’Arte propongono una visita guidata alla Mostra allestita in Santa Giulia, dal titolo “Bizantini, Croati, Carolingi – Alba e tramonto di regni e imperi”. L’appuntamento è per il giorno 9 settembre 2001. La visita sarà guidata dalla dr. Alba Duina.
La mostra prende il via analizzando la situazione delle terre affacciate sull’Adriatico, dopo la parentesi gota (illustrata attraverso alcuni corredi tombali) e la riconquista da parte dell’Imperatore d’Oriente Giustiniano. La riconquista fu effimera: i Longobardi nel 568 occuparono gran parte dell’Italia centro settentrionale e gli Avari presero a minacciare le coste orientali. Giustiniano, in risposta, si preoccupò di consolidare i principali scali della rotta marittima adriatica e riorganizzò il territorio. In Dalmazia le antiche città romane (Epidauro, Salona, ecc.) furono abbandonate in favore di insediamenti più piccoli e facilmente difendibili come il castello di Ragusa e il Palazzo di Diocleziano a Spalato; le città più piccole, come Zara, Parenzo e Pola, sopravvissero e nell’Alto Adriatico vennero fondati numerosi castelli: Iustinopolis (Capodistria), Grado, Jesolo, Torcello. In ogni caso, nei territori bizantini dell’Adriatico, Giustiniano offrì un’immagine eloquente della grandezza del suo potere attraverso grandiose architetture religiose e preziose opere di oreficeria. Le costruzioni promosse dai vescovi e realizzate da maestranze specializzate, si avvalevano di capitelli, colonne e sontuose decorazioni in marmo orientale; nelle chiese erano conservate in preziosi contenitori d’oro e d’argento le reliquie dei santi che attiravano numerosi pellegrini. Nei cimiteri cristiani i personaggi di alto rango venivano inumati con raffinati oggetti del corredo personale. In mostra ecco allora preziose testimonianze provenienti dalle città bizantine della costa dalmata, istriana e altoadriatica, compresi alcuni importantissimi prestiti da Aquileia e da Grado. Una saletta è tutta per Grado, la cui importanza nella geografia dell’epoca, quale centro urbano e religioso, venne consolidata a seguito della conquista di Aquileia da parte dei Longobardi: sono esposte due preziose capselle, un astuccio aureo per reliquie, 11 laminette auree con incisi i nomi dei martiri e il reliquario della Croce dal Tesoro della Basilica di S. Eufemia. A fare da pendant, una sala dedicata all’Istria con altri straordinari prestiti tra i quali due reliquiari provenienti dall’isola di Pag e da Rab, la pisside esagonale argentea, con Cristo e gli Apostoli, rinvenuta a Pola e la capsella eburnea da Samaghèr. Segni tangibili del legame con la Chiesa di Roma. A partire tuttavia dalla fine del VI secolo nei territori della penisola balcanica la minaccia di Longobardi, Avari e Slavi si fece sempre più consistente. Ai Longobardi viene dedicato in mostra solo un breve cenno in un’apposita sezione, a ricordo della loro presenza e del loro ruolo nel contesto storico dell’epoca, mentre l’attenzione si posa sul regno degli Avari, grandi avversari di Carlo Magno. Gli Avari tra il 582 e il 609, fondarono un impero esteso dal Danubio al retroterra della Dalmazia. La presa di Sirmio in particolare aveva rappresentato una svolta, segnando l’inizio delle incursioni degli Avari e degli alleati Slavi oltre il fiume Sava, verso la Dalmazia e in modo particolare attraverso la regione racchiusa dalla Drava e della Sava in Istria. Numerosi corredi tombali dell’aristocrazia militare, presentati in mostra, testimoniano la presenza avara in quelle terre, la convivenza e la simbiosi di Avari e Slavi, oltre alle peculiarità della cultura e della società avara: parti di guarnizioni di cintura in bronzo fuso, equipaggiamenti tipici dei cavalieri e gioielli d’epoca e le leggere spade ricurve, più maneggevoli rispetto alle massicce spade carolinge. Nel 788 l’incauta decisione avara di appoggiare, contro Carlo Magno, la rivolta del duca bavaro Tassilone, genero dell’ultimo re Longobardo Desiderio, costituì la scintilla della guerra franco-avara. Fu lo stesso imperatore a decidere di coinvolgere alcuni gruppi gentilizi di guerrieri Slavi e tra questi, in particolare, i Croati, incentivando la loro migrazione nelle terre da cui cacciava gli Avari. Si formarono protettorati slavi. Nell’822 il territorio controllato dal principe dei Croati andava dalla Drava alle coste dell’Adriatico, gettando le basi del nascente regno di Croazia. Il percorso espositivo prosegue allora articolandosi in sezioni riservate, tra la fine del VIII e il IX secolo all’Istria franca, le città dalmate e Venezia – nominalmente bizantine (il trattato di Aquisgrana è dell’812) – e il principato di Croazia. La mostra evidenzia gli influssi dell’arte carolingia sull’architettura religiosa, diversificati a seconda delle zone e delle botteghe, e sui corredi della classe dirigente croata quali appaiono, per esempio, nei reperti rinvenuti a Crkvina di Biskupja, presso Knin. Evidenzia le novità apportate dai carolingi nelle architetture del principato croato (in particolare con la presenza del westwerk, cappella privata e forse mausoleo del nobile locale) ma anche i debiti con la scultura italiana, evidenti -a fine VIII secolo – anche in Istria e in Dalmazia. In questo contesto si colloca la chiesa virtuale, compreso il nucleo di un’ipotetico Tesoro ivi custodito con capolavori: dal Liber sequentiarium, codice liturgico-musicale in scrittura carolingia e notazione musicale ( da Sebenico), allo straordinario Turibolo di Cetina, un unicum nelle suppellettili liturgiche carolinge, sembra realizzato da opifici dell’Italia settentrionale; dall’ Evangelario spalatino, il più antico libro liturgico della Croazia, utilizzato nella Cattedrale di Spalato nelle maggiori solennità, al famoso Evangelario di Cividale, fino al Reliquiario di San Anselmo (parrocchiale di Nona), che giunse da Milano, tramite missionari benedettini di S. Ambrogio.
Dal Giornale di Brescia – 6/9/2001