La «Pala di Sant’Eufemia»
Alessandro Bonvicino, detto il Moretto
(Brescia, 1498 ca – 1554)
La Madonna col Bambino e san Giovanni Battista fanciullo in gloria e i santi Benedetto, Paterio, Eufemia e Giustina.
Olio su tavola centinata, cm 331 x 217.
Brescia, Pinacoteca civica Tosio Martinengo.
Il dipinto, eseguito probabilmente tra il 1526 e il 1530, fu commissionato dai monaci benedettini per decorare l’altare maggiore della chiesa del Monastero di Sant’Eufemia in città. Fu rimosso e depositato nella Pinacoteca civica nel 1867 e sostituito con un dipinto proveniente dalla Collezione Tosio, attribuito in passato a Enea Salmeggia, detto il Talpino (Bergamo1565 ca – 1626), datato 1618 e raffigurante Le sante Caterina, Barbara, Maddalena, Lucia, Cecilia ed Eufemia, ma oggi ascritto al pittore piemontese Guglielmo Caccia detto il Moncalvo (Montatone 1568 – Moncalvo 1625).
La composizione della scena, pervasa da grande religiosità, ripropone lo schema tipico della sacra conversazione con quattro Santi collocati in perfetta simmetria che venerano la Madonna intronizzata sulle nubi: ma è qui già ampiamente recepita dal Moretto la novità rinascimentale dell’apertura verso il plein air mediante la riduzione dell’involucro architettonico di tipo chiesastico in favore di una spaziosa apertura sul paesaggio prospettico dello sfondo e l’introduzione di luce modulata filtrante dalle arcate laterali e dagli sfori sferici della cupola, quasi tre purissimi occhi di cielo.
I Santi e le Sante raffigurati ricordano: in Benedetto (inginocchiato sulla sinistra, con l’abito nero dell’ordine ricoperto da piviale a fioroni d’oro ornato da una preziosa bordatura a ricamo figurato) il Fondatore dell’Ordine; in Paterio (inginocchiato sulla destra, rivestito di paramenti più completamente episcopali, cheiroteche comprese) il Vescovo bresciano degli inizi del secolo VII, ritenuto monaco benedettino e discepolo di san Gregorio Magno, sepolto nella chiesa di Sant’Eufemia in città (le sue spoglie sono ancora custodite nella grande urna marmorea posta sotto l’altare maggiore); in Eufemia di Calcedonia la titolare della chiesa (è la santa a sinistra recante nella mani la palma del martirio e la sega che avrebbe dovuto farla a pezzi); in Giustina l’unione del monastero bresciano alla Congregazione di Santa Giustina di Padova, detta “Congregazione dell’Osservanza di santa Giustina” avvenuta nel febbraio del 1457 (è la santa a destra, con la palma del martirio nella mano e il petto trafitto da un pugnale).
Nel percorso artistico del Moretto questo dipinto segna un esito di straordinaria importanza, poiché sancisce, intorno agli anni Trenta del Cinquecento, il distacco dalle perduranti suggestioni del Romanino verso il raggiungimento di una maturità compositiva che si concretizza in una nuova spazialità, in una ricerca sempre più approfondita dei rapporti fra luce e ombra, e in una straordinaria perizia nel ravvivare la composizione mediante effetti ritmici che conferiscono alle masse architettoniche così come alle immagini un senso di morbidezza, di levità, e di movimento libero e animato.
Pier Virgilio Begni Redona
(Fotografia gentilmente concessa dai Civici Musei d’Arte e Storia di Brescia)